Approfittiamo di una pausa dalle prove in sala, per intervistare l’attrice salernitana, che fa dell’autoironia e della sincerità le sue armi vincenti.
Per dare il via alle domande, traiamo spunto proprio dallo spettacolo “In nome della madre” (tratto dall’omonimo libro di Erri De Luca, nell’adattamento teatrale di Michele La Ginestra) che il 12 novembre andrà in scena al Teatro Domma e poi dal 6 al 18 dicembre replicherà sul palco del Teatro 7off di Roma.
In un doppio piano narrativo, Beatrice Fazi sul proscenio è la voce narrante che in qualche modo supervisiona una storia che tutti conoscono: Maria (Ilaria Nestovito) cambia la sua vita, rimanendo incinta dopo aver ascoltato un annuncio e aver detto un “sì”. Giuseppe (Francesco Stella) si fida della sua futura sposa e, forte dell’amore che li unisce, va contro tutto e tutti per difenderla. Seppure avvolta nel mistero, in fondo è la storia di una ragazza, delle sue emozioni, delle sue paure più intime.
Ognuno di noi, come Maria, è chiamato a rispondere alla vita e a quel che ci riserva, a confrontarci con gli “annunci” e a compiere delle scelte….
Beatrice, tu di scelte ne hai fatte tante, sul lavoro e nella vita privata (dal matrimonio, al mettere al mondo quattro figli di cui l’ultima in età adulta, all’affrontare l’aborto). Cosa è cambiato nel corso degli anni nel tuo modo di prendere le decisioni più importanti?
Ciò che è cambiato è soprattutto fare discernimento nella preghiera, chiedendo in un dialogo intimo con Dio quale sia la Sua volontà per me. E’ cercare di compiere delle scelte, sperando di aderire a quello che è il Suo disegno e, naturalmente, avendo legato la mia vita a quella di mio marito, la maggior parte delle decisioni le prendo facendo discernimento con lui e mettendo sempre al primo posto il bene della nostra famiglia. Cerco di valutare le conseguenze delle mie scelte su quella che è la vita familiare, soprattutto; quindi la mia famiglia è al primo posto. Sicuramente a volte i miei figli e mio marito sono chiamati a fare sacrifici, anche perché il mio lavoro li richiede. Però quello che è chiaro anche a loro è che Cristo è il Signore della nostra vita, quindi quello che è cambiato è questo: il fatto che c’è chi ci governa, chi tiene il timone, il Signore della storia, Cristo risorto, Dio Padre onnipotente.
Nel libro autobiografico “Un cuore nuovo” hai raccontato con estrema sincerità la tua conversione. Sei stata spronata a farlo oppure l’hai sentita come un’urgenza personale?
Inizialmente non avrei mai pensato di scrivere un libro; non credevo neanche di essere in grado di farlo e poi, invece, spronata da due amici mi sono ritrovata a scrivere. “Un cuore nuovo” nasce dall’esigenza di mettere nero su bianco ciò che ormai raccontavo negli incontri di testimonianza, che mi è capitato di fare nei primi anni dopo la mia conversione. Un mio amico, Fabio Salvatore, non riteneva esaustivo ciò che potevo raccontare nell’arco di un’oretta in una serata, così mi ha chiesto di mettere nero su bianco tutta la mia storia; quindi mi ha presentato Diego Manetti della casa editrice Piemme, perché io potessi pubblicare in un libro quella che era la mia esperienza. Ho anche tentato di resistere, ma la casa editrice mi aveva già dato un acconto, quindi… Poi è successo che, durante la quaresima del 2015, all’età di 43 anni e in attesa di Maddalena, la mia quarta bambina, mi sono chiusa un po’ in casa. Facendo gli esercizi spirituali, mi isolavo a pregare la mattina e durante il giorno scrivevo questo libro, che è stato davvero guidato dall’azione dello Spirito Santo, perché l’ho scritto di getto e, di fatto, i capitoli li ho separati soltanto alla fine. E’ stata una rilettura di tutta la mia vita alla luce della fede, con gratitudine immensa per la grazia che stavo ricevendo, cioè mettere al mondo questa bambina, dopo che avevo già perso due figli con aborto spontaneo e altri due li ho persi dopo di lei. Quindi lei è stata proprio un miracolo, una grazia anche per intercessione di Mamma Natuzza, come ho raccontato nel libro. In definitiva, inizialmente sono stata spinta da due persone e poi è stato bellissimo poter rileggere la mia vita, riconoscendo in essa la Misericordia che Dio ha riversato su di me con la sua azione salvifica. Ecco, l’incontro con Cristo è il centro di questo libro.
Hai terminato di recente le riprese del film “Cento cuori”, dedicato alla figura di Beata madre Clelia Merloni e dal 23/11 al 04/12/2022 tornerai a calcare il palcoscenico con “Stremate e beate” al Teatro Golden di Roma. Cinema e teatro, personaggi drammatici e brillanti. In quali di questi due mondi e due tipi di ruoli così diversi ti senti più a tuo agio?
Mi sento totalmente appagata sia che reciti in teatro sia che lo faccia per il cinema. Naturalmente i linguaggi sono totalmente diversi, la fatica è totalmente diversa ed anche il guadagno. Eppure per me l’essenziale è potermi esprimere, poter lavorare e poter vivere il tempo delle prove, il debutto, l’esibizione, la compagnia che si crea, la complicità con i colleghi…. Sul palco, in una compagnia teatrale, nelle estenuanti prove, che durano anche otto ore, dove devi essere preciso, devi coniugare un’agilità corporea con la tenuta della voce. E’ tutta un’altra cosa rispetto al cinema, ma anche sul set devi comunque mantenere la concentrazione per il ‘one shot‘. Devi dare quell’emozione in un secondo, senza poter sviluppare un percorso anche psicologico del personaggio attraverso un’azione che abbia un inizio ed una fine, perché è tutto frammentato. Devi essere in grado di riprendere un discorso iniziato magari qualche giorno prima, eppure tutto questo ha un fascino…questo sogno ad occhi aperti, questo gioco che si perpetua in questo crederci, anche se è tutto finto… Per far sì che in una scena -che nel cinema dura pochi minuti- la gente creda a quelle emozioni, si muove un intero set, ognuno con le sue competenze, con una gerarchia. E’ tutto molto affascinante. Non saprei scegliere. L’importante è che io possa continuare a fare questo lavoro magico che, seppure faticoso e molto serio, è un gioco bellissimo dove tutto può succedere. Dunque per me, semplicemente, l’importante è che mi facciano continuare ad esprimere me stessa, anche davanti ad uno specchio (ndr.ride), e a far sì che gli altri, guardandomi, credano a quelle emozioni che in quel momento voglio regalare loro.
Su TV2000 hai condotto programmi come “Beati voi“ (per approfondire i Dieci Comandamenti e renderli concreti attraverso le testimonianze degli ospiti in studio e di persone comuni) e “Per Sempre” (game show sul matrimonio, in cui due coppie di fidanzati gareggiano, confrontandosi in prove che mettono in luce affiatamento e complicità dei futuri sposi). Dunque, oltre che attrice, sei anche presentatrice: da dove nasce la tua passione per lo spettacolo?
Recitare è una passione che coltivo fin dalla più tenera età. Avevo tre anni quando ho scoperto che avrei voluto esibirmi sempre davanti agli occhi di qualcuno, che potesse apprezzarmi, amarmi e applaudirmi. Vidi in televisione per la prima volta “L’amaro caso della baronessa di Carini” (1975) e subito, in casa con i parenti, cominciai a ripetere la scena dove il padre uccide la baronessa. Poi a scuola ho scoperto il teatro e anche la conduzione: in classe alle elementari ero io la conduttrice durante la festa della mamma e questa cosa mi piaceva tantissimo; anche alle medie ho recitato e mi ha appassionato sin da subito… Diciamo che ho iniziato per gioco, capendo che quel vestito mi stava tanto bene addosso. Mi piaceva fare tutto, purché gli altri si accorgessero di me. Probabilmente la spinta iniziale è stata quella. Senza fare psicologia spicciola, però delle ragioni si possono trovare anche nella mia condizione di secondogenita, con genitori un po’ distratti, occupati a risolvere i loro problemi…Volevo semplicemente che mi guardassero e poi ho capito anche che in realtà potevo dare molto agli altri, mentre mi guardavano: potevo farli ridere, non farli pensare, insomma sollevarli un po’ dal peso del loro quotidiano. Sicuramente ho individuato subito una funzione sociale del mio lavoro e questa cosa mi ha appagato molto: essere comunque utile, perché far ridere è bello. Inizialmente ho puntato soprattutto su questo, far ridere, e poi aiutare gli altri a trovare un contatto con se stessi, provando delle emozioni e anche riflettendo su temi. Sì, io credo molto nella funzione sociale del lavoro dell’attore.
Nel 2019 sei stata ospite del Teatro Domma con il monologo “Cinque donne del sud”, scritto e diretto da Francesca Zanni, in cui per più di un’ora da sola sul palco davi voce a cinque donne dai caratteri diversi, appartenenti ad altrettante generazioni. Adesso, con “In nome della madre” ci regali un ruolo che parla di precarietà e di non accoglienza. Poiché non c’è due senza tre, hai già in mente una novità con la quale torneresti ad intrattenerci al Teatro Domma? Forse un’altra collaborazione con Michele La Ginestra con cui hai un sodalizio artistico ormai ventennale?
Proprio di recente ho proposto a Michele La Ginestra di produrre per la prossima stagione uno spettacolo, per la regia di Claudia Genolini, che vorrei interpretare con la mia collega Cristina Odasso (ndr. che abbiamo avuto modo di apprezzare alla presentazione del libro “Se fossi in te” al Teatro Domma).“Rosaspina” è un testo molto bello, tutto al femminile, di un’autrice contemporanea, Michela Andreozzi, che tratta il tema della detenzione: parla di due donne, ma fino alla fine non si capisce bene chi di loro sia detenuta e chi abbia il ruolo di secondino. Uno spettacolo molto profondo e drammatico, che ammonisce a non giudicare e a tenere ben presente che in un attimo si può passare dall’essere giudice all’essere giudicato.
Inoltre sto per debuttare ne “il più bell’addio”, un progetto di Pierpaolo Palladino, che mi vedrà in scena con la bravissima Marina Zanchi sul palco del Cometa Off a febbraio 2023. Non voglio svelare tantissimo, ma racconta un rapporto madre-figlia molto tormentato ed “il più bell’addio” è quello che questa figlia non riesce a dare a sua madre. Tutto inizia il giorno in cui bisogna celebrare le esequie della madre (M. Zanchi), ma la figlia non riesce proprio a salutarla e vive una complessa quotidianità, reiterando in modo compulsivo le consuete dinamiche quotidiane con lei. Insomma uno spettacolo molto commovente e molto doloroso, a cui altrettanto tengo tantissimo. Quindi, sì, ho tante altre proposte da fare al Teatro Domma per il futuro, ma intanto ci vediamo il 12 novembre…e non vedo l’ora!
GRAZIE, BEATRICE, PER AVER CONDIVISO TANTI ASPETTI DI TE E DELLA TUA STORIA CON PROFONDITA’ E SEMPLICITA’. A PRESTO!
Margherita De Donato
BEATRICE FAZI parla di “In nome della madre” e del suo libro “Un cuore nuovo” (Intervista di Canale 21)